sabato 25 febbraio 2012

Il mito di Cristo.

Seguendo un suggerimento di Gustavo Zagrebelsky (Il crucifige e la democrazia)si potrebbe pensare alla vita di Cristo come ad un mito costruito per rendere in modo emblematico un pensiero, una ideologia che si era affermata duemila anni orsono nel contatto e confronto tra il mondo ebraico e quello latino. Il suo interesse si focalizza sugli aspetti politici e quindi vede il processo a Cristo come emblematico d’un uso distorto della democrazia, d’un coinvolgimento della folla demagogico e strumentale. Ma raccogliendo il suo input si potrebbe estendere il discorso a tutto il vangelo, visto appunto come una favola costruita per trasmettere il messaggio rivoluzionario che si era andato affermando. Negli stessi anni Seneca la persona più ricca del momento a Roma e un predicatore senza fissa dimora in Palestina giungono alla stessa conclusione: l’uomo si realizza nel dare. Persino ai nemici si deve dare. Nel proprio interesse, perché non c’è nulla di più gratificante del dare… Amare può essere solo una parola ma dare è un fatto, per questo è meglio parlare di dare che di amare! Ma per dare è necessario avere. E quindi modello di vita non è il levita, ma il mercante che sa conciliare i propri interessi con la generosità. Modello è chi sa far fruttare i propri talenti, quello che si lancia nella ricerca del nuovo come il figliol prodigo, o la pecora che lascia la sicurezza dell’ovile. Ma una rivoluzione nel modo di pensare di questa portata non piace ai conservatori del Sinedrio, non piace a chi fa parte della casta del potere come Pilato, non piace neppure alla folla perché è come un fiume che preferisce scorrere entro alle rive consolidate. Si crea quindi una unità di intenti e di interessi e il Giusto viene messe a morte. Si uccide così la Giustizia. Sembrerebbe!
Paolo che dirige la costruzione del mito rovescia la situazione. E’ quella morte a portare la giustizia e la salvezza. Non è necessario imitare i modelli proposti, basta credere che dalla morte del Giusto discenda la salvezza per i peccatori. Il messaggio del dare che avrebbe potuto cambiare il corso della storia, si perde e diventa un fiume sotterraneo che riemerge a momenti. Ma la Chiesa istituita per tramandare il mito è stata fondata sulla roccia, ed ha persino paura di quel fiume sotterraneo che le scorre sotto.

giovedì 25 dicembre 2008

Il discorso del Papa.

Il Papa nel discorso di Natale ha detto che “se si pensa solo ai propri interessi il mondo va in rovina”. Questo del non pensare ai propri interessi mi pare un suggerimento sbagliato, o comunque un suggerimento che non può non cadere nel vuoto senza che nessuno (o troppo pochi) lo possano seguire. Avrei preferito un caldo invito, a credenti e laici a fare il proprio interesse in modo intelligente e senza calpestare la libertà e quindi l’interesse degli altri. Un invito così sarebbe stato in linea con i comandamenti che si chiudono con il precetto a “non desiderare ciò che è degli altri”, ma prefigurerebbe una società cristiana nella quale possono riconoscersi anche i laici.
Recuperando dal Vangelo la parabola del buon samaritano, il papa ha parlato al Sacerdote ed al Levita, che però hanno fatto orecchio di mercante. Il samaritano, pur continuando a fare i suoi interessi di mercante, ha trovato anche il modo di aiutare il viandante ferito.
Dire alla società postmoderna caratterizzata dall’individualismo e dal relativismo che non si devono fare i propri interessi, è gettare le parole al vento. Una società che indirizzasse la spinta individualistica d’ognuno, verso la conquista del nuovo, evitando la lotta contro gli altri per prendersi ciò che è già loro, riuscirebbe a coniugare gli ideali cristiani con quelli laici…

venerdì 25 aprile 2008

Nicodemo e la samaritana.

L’incontro con Nicodemo e con la samaritana sono due dei passi del vangelo di Giovanni più interessanti per capire quale fosse il pensiero di Gesù, secondo l’estensore di questa ricostruzione della sua vita e del suo pensiero. Sono due incontri che vengono riportati solo nel Vangelo di Giovanni, e questo è già un elemento che porta ad alcune considerazioni. E’ probabile che i due personaggi siano stati inventati, per rendere meglio il messaggio che si è voluto trasmettere, ricostruendo l’incontro di Gesù con Nicodemo e con la Samaritana. Anche se si riferissero a dei fatti realmente accaduti, vengono riportati da Giovanni e non dagli altri evangelisti, perché i fatti, (inventati o reali non ha importanza), diventano espedienti letterari per trasmettere al lettore delle idee, dei contenuti.

Quali sono le idee che si vogliono trasmettere? A mio avviso c’è una idea di fondo comune ad ambedue gli incontri, e poi ci sono delle specifiche idee che riguardano i due incontri distinti.

L’idea di fondo è che il rapporto con Dio è rapporto individuale di ogni singola persona, non delegabile ad esperti o mediatori, non riservato ad alcuni piuttosto che ad altri.

Nicodemo era “uno dei capi degli ebrei”. Gesù lo apostrofa dicendo: “Tu sei maestro in Israele e non capisci queste cose?” “La conoscenza della verità non è privilegio dei maestri, ma di ognuno di noi che trova la sua verità”, vuole evidentemente dirci Gesù.

E’ esattamente ciò che ripeterà alla samaritana, una donna non giudea. Secondo i parametri di oggi potremmo dire una extracomunitaria. “Credimi viene il momento in cui l’adorazione di Dio non sarà più legata a questo monte o a Gerusalemme, viene un ora, anzi è già venuta, in cui gli uomini adoreranno il Padre guidati dallo Spirito e dalla verità di Dio”.

Ma entrando nello specifico dell’incontro con Nicodemo, quali sono i concetti che vi si esprimono? Dice Gesù:

“Credimi, nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce nuovamente. Io ti assicuro che nessuno può entrare nel regno di Dio se non nasce da acqua e spirito. Dalla carne nasce carne dallo spirito nasce spirito. Il vento soffia dove vuole uno lo sente ma non può dire da dove viene ne dove va. Lo stesso accade con chiunque è nato dallo Spirito”

Nella seconda parte viene introdotto un altro tema:

Il figlio dell’uomo deve essere innalzato come Mosè innalzò su un palo il serpente di bronzo, perché chiunque crede in lui abbia vita eterna. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico figlio perché chi crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna. Chi non crede nel figlio è già condannato perché non ha creduto nell’unico figlio di Dio, perché la luce è venuta nel mondo ma gli uomini hanno preferito le tenebre.

Se confrontiamo le due parti risulta evidente la differenza: nella prima si parla dell’insegnamento di Gesù sul rapporto diretto dell’uomo con Dio al di fuori di ogni religione, nella seconda Gesù è già diventato il mediatore tra Dio e gli uomini e quindi si è già affermata una nuova religione. Si può quindi affermare che la seconda parte può essere una interpolazione, per affermare la religione paolina, mentre la prima si riferisce alla predicazione originale di Gesù.

Se comunque proviamo a leggere la seconda parte con la chiave di interpretazione che ci siamo dati, cioè riferendo all’uomo in generale ciò che il testo riferisce a Gesù, leggiamo che l’Infinito ha tanto amato il mondo da entrare nel mondo come uomo-finito, perché chi crede di essere elemento dell’Infinito non muoia ma abbia la vita eterna. Chi non crede di essere elemento dell’Infinito, non vivrà perché non ha accettato la rivelazione ed ha preferito continuare a vivere nelle tenebre della ignoranza.

Infatti, tornando alla prima parte, l’uomo sotto il profilo corporale è carne nata dalla carne, sotto il profilo spirituale è spirito nato dallo spirito. L’essenza spirituale dell’uomo, con una significativa immagine viene paragonata al vento che si sente ma non si sa da dove viene né dove va. Allo stesso modo l’uomo sente di essere anche spirito, ma nella limitatezza del suo essere corpo, del suo essere cervello, ragione umana, non sa da dove viene e dove va il suo essere spirituale…

sabato 22 marzo 2008

LA RESURREZIONE.

Non sono un esperto per immaginare di poter entrare nel dibattito aperto da Emanuele Severino con l’Elzeviro del 30 luglio scorso intitolato “la resurrezione non è la prova di Dio”, sono soltanto uno che s’interessa dei temi affrontati nell’elzeviro perché tra di essi si dovrebbero trovare le risposte alle domande sul senso della vita e della morte. Risposte che, evidentemente, dovrebbero interessare a tutti gli uomini e non solo ai filosofi.
Da ricercatore quindi, vorrei dire che non mi piace il tema venga posto nei termini dell’economia della salvezza. Non mi va di pensare ci sia un dare dovuto ad Adamo pareggiato con l’avere legato alla morte di Cristo e quindi esterno e comunque estraneo al mio essere. Dovrei credere proprio perché è assurdo, credo quia absurdum, ma se accettassi questa impostazione tanto varrebbe che rinunciassi a cercare. Potrei fermarmi ed attendere la fede, ma la fede, si sa, non dipende da me: è il risultato d’un Dio che cerca l’uomo non d’un uomo che cerca Dio. Ma in attesa d’essere cercato e trovato da Dio l’uomo cosa può fare? Credo sia un dovere esistenziale quello di cercare, pur con il rischio di non trovare, di dovere ammettere alla fine che quaesivi et non inveni.
Ma certamente non partendo dalla resurrezione, perché questa è connessa con la fede. Come dice Paolo se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede. Se non dovesse essere un atto di fede ci si potrebbe anche chiedere: risorto come? Cosa significa il termine risorto se i due discepoli di Emmaus non lo riconoscono, e Tommaso per credere vuol toccare la ferita nel costato. Come se trovandomi davanti a mio padre redivivo, per riconoscerlo, gli chiedessi di mostrarmi le cicatrici delle ferite di guerra.
Al di là dei dettagli della ricostruzione storica, fermandoci alla resurrezione mi sembra che ci facciamo fuorviare da Paolo che da fariseo credeva nelle resurrezione di corpi, e che alla luce di questa sua precedente convinzione reinterpreta il messaggio di Cristo. Ma Paolo è uno che resta folgorato sulla strada per Damasco e poi se ne va a predicare il suo cristianesimo e solo dopo tre anni sente le necessità di venire a Gerusalemme a confrontarsi con quelli che avevano vissuto con il Cristo e che quindi sapevano che cosa aveva veramente detto. A Paolo evidentemente non interessava che cosa aveva detto, ma soltanto il fatto che si potesse dire che era risorto, a conferma della sua fede nella resurrezione.
A me, a noi, prima del sapere se sia risorto a meno, pare logico comunque andare prima da quelli di Gerusalemme per capire se in quello che ha detto in vita c’è una chiave che serva ad aprire nuove risposte alle nostre domande, una chiave da potersi utilizzare indipendentemente dalla fede.
Scopriamo così che la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù (della sua venuta al mondo, non della sua morte!). Scopriamo che la verità che ci rende liberi è che Dio ha fatto un dono agli uomini “di diventare figli di Dio”, che Dio ha mandato il figlio perché chi crede in lui, (in ciò che dice, non nella sua morte e resurrezione !), “non muoia ma abbia la vita eterna”. L’intuizione dell’uomo storico Gesù, quale si ricava dai Vangeli, è quindi quella d’una divinità dell’uomo (figlio di Dio), presupposto perché sia credibile la possibilità per l’uomo della vita eterna. La rivelazione quindi d’una spiritualità dell’uomo che resta nell’eternità, dopo una esperienza momentanea nel tempo attraverso il corpo. Esseri immortali in un corpo mortale. Un concetto al quale si può credere o non credere, ma che ha comunque una sua logica, una sua razionalità. Non è assurdo!
Con questo, come dice anche Pierangelo Sequeri, intervenendo nel dibattito, forse si mette a rischio ogni religione, ma non certo, a mio avviso, “ogni umanesimo”, che anzi, al contrario, si giunge alla piena affermazione dell’uomo e della sua libertà. La messa a rischio delle religioni è d’altra parte un altro dei messaggi forti che riportano quelli di Gerusalemme (prima della rielaborazione di Paolo) quando ricordano le parole rivolte alla samaritana: viene un’ora, anzi è già venuta in cui l’adorazione di Dio non sarà più legata a questo monte o a Gerusalemme, l’ora in cui gli uomini adoreranno il Padre guidati dallo spirito e dalla verità di Dio.
C’è uno spazio quindi, al di qua della fede e al di qua delle religioni per un “uomo figlio di Dio” che meriterebbe di essere ancor più indagato ed approfondito. In termini volutamente forse troppo elementari, da catechesi, è ciò che anch’io ho cercato di fare nel libro che ho pubblicato, per le edizioni Segno con lo pseudonimo di Diver Dalce e che ho intitolato appunto “Io, figlio di Dio”. Che ho anche riportato integralmente nel sito http://digilander.libero.it/Asterisco9/

venerdì 22 febbraio 2008

Introduzione

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Chi è stato veramente nella storia il Gesù che riconosciamo come fondatore del cristianesimo? E’ una domanda alla quale si è avvicinata una infinità di uomini, in quasi duemila anni di storia, cercando di darsi una risposta. E’ una domanda alla quale sono state date infinite risposte. E’ una domanda alla quale è d’obbligo tentare di dare una risposta se si riconosce che il cristianesimo è stato l’elemento fondante la civiltà dell’occidente, e si dà atto che il cristianesimo tanta parte ha avuto nella storia dell’Occidente.

Secondo il credo cattolico Gesù nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocefisso, morì e fu sepolto, il terzo giorno risuscitò da morte. Il fatto di aver riportato come professione di fede gli elementi principali della sua biografia, è una conferma implicita della incertezza della biografia stessa. Basti il fatto che dall’anno della sua nascita si è voluto far partire l’Evo nostro, per poi scoprire che la data era sbagliata, con il conseguente paradosso di dover ammettere che Cristo è nato nel 4 avanti Cristo.

Le fonti storiche sulla sua vita sono talmente marginali che consentono ad alcuni di affermare che sono la riprova della non esistenza storica di Gesù. Giuseppe Flavio in Antichità giudaiche nel 93 scrive che: “ Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani”.

Plinio il Giovane scrive all’imperatore Traiano nel 112: “ I Cristiani... Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell'esser soliti riunirsi prima dell'alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come se fosse un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti”.

Svetonio (morto nel 122) nella Vita dei dodici Cesari parlando di Nerone scrive che “sottopose a supplizio i Cristiani, razza di uomini di una superstizione nuova e malefica”.

Tacito parlando del cristiani dice che “L'autore di questa denominazione, Cristo, sotto l'impero di Tiberio (imperatore dal 14 al 37 d.C.), era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato, ma, repressa per il momento, l'esiziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, origine di quel male, ma anche per l'Urbe, ove da ogni parte confluiscono tutte le cose atroci e vergognose.

Ricordando che ci sono molti dubbi sull’autenticità del testo dello scrittore ebraico Giuseppe Flavio, (molte frasi possono essere state aggiunte o comunque corrette nel Medioevo), appare strano che i tre maggiori storici latini di solito così attenti ai particolari, non facciano memoria della presenza in una Provincia dell’impero romano, qualche decennio prima di loro, di una persona che aveva fatto innumerevoli miracoli resuscitando anche i morti, per finire poi con il miracolo della sua stessa resurrezione. Se dovessimo ricostruire l’origine del cristianesimo utilizzando solo le fonti storiche dovremmo dire soltanto che “nel primo secolo del nuovo evo si diffuse per l’impero romano una nuova religione che considerava Dio un uomo che era stata crocefisso da Ponzio Pilato”.

Le fonti di cui disponiamo sono quelle per così dire interne al movimento cristiano cioè i Vangeli, che con dovizia di particolari ci presentano la storia del fondatore. Ma le testimonianze interne non hanno evidentemente alcun intento storico, ma cercano in qualche modo di dimostrare delle tesi preconcette. E dal momento che furono svariate le interpretazioni sulle quali si divisero i primi cristiani, abbiamo una infinità di Vangeli. Tant’è che la chiesa ha ritenuto di dover intervenire definendo quali fossero i “canonici” e quali dovessero essere considerati apocrifi. Potremmo anche considerare arbitrario l’intervento della Chiesa e cercare di rifarci a tutti gli apocrifi per cercare di ricavare la vera storia della vita di Gesù. Ma per comodità possiamo anche limitarci all’analisi dei canonici cioè ai vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni.

I primi tre sono detti sinottici perché hanno molti elementi in comune. Sono stati scritti non meno di cinquanta anni dopo la morte di Gesù e quindi non da testimoni oculari, ma richiamandosi alle narrazioni popolari che si erano diffuse in Palestina, sulla vita di Gesù. La gran parte degli studiosi conviene sul fatto che possono essere collegati ad un precedente vangelo, di autore ignoto e andato perso che viene definito Fonte Q. Nel vangelo di Giovanni invece la ricostruzione della vita è diversa. Sono riportati diversi fatti che non ci sono negli altri, si dà maggiore importanza al pensiero del maestro. Anche questo è lecito supporre possa far riferimento ad una fonte precedente, diversa tuttavia dalla fonte Q.

Come gli storici hanno tentato di ricostruire la fonte Q, mettendo a confronto i tre vangeli che ne sono derivati. Io vorrei immaginare possibile una operazione analoga per risalire al documento da cui è stato ricavato il Vangelo di Giovanni.

Nel fare questo io parto da una ipotesi che non è verificabile ma che è molto attendibile, cioè l’ipotesi che nel frattempo ci sia stato un intervento di manipolazione della ricostruzione della vicenda terrena di Gesù per renderla adatta a diventare il fondamento d’una nuova religione.

E’ l’intervento di Saulo, divenuto Paolo, che la maggioranza degli studiosi riconosce come il vero fondatore del cristianesimo. Se c’era un Vangelo prima dell’intervento di Paolo che ricostruiva la vita e la dottrina di Gesù, in che cosa poteva essere diverso da quello che poi è diventato il Vangelo di Giovanni? Per riuscire nella ricostruzione è necessario eliminare tutto quello che è riconducibile alla interpretazione di Paolo, all’operazione che ha voluto fare strumentalizzando la vita di Gesù.

Plinio il Giovane ricorda che i cristiani si riunivano per elevare inni a Cristo come se fosse un Dio. E’ stata questa l’operazione di fondo di Paolo. Gesù è il figlio di Dio e su questa verità imposta la religione del figlio di Dio. Ma per quanto i vangeli siano stati scritti per dimostrare la tesi della divinità di Gesù e quindi sia stata forzata la ricostruzione dei fatti e della parole per dimostrare questo assunto, emerge sempre tra le righe che a monte c’era un’altra interpretazione. La vera intuizione rivoluzioaria di Gesù è stata che l’uomo è figlio di Dio. In quanto uomo si dichiara anche lui, figlio di Dio. Ma questo non ha nulla a che vedere con l’intepretazione che ne dà Paolo di Gesù Dio.

Paolo voleva fondare una religione e la religione ha necessità di simboli, di riferimenti precisi in cui credere. Paradossalmente Gesù che aveva predicato l’eliminazione di ogni religione nell’affermazione della possibilità per ogni uomo di un rapporto diretto con la divinità, diventa il soggetto attorno al quale Paolo costruisce una nuova religione, diventa il mediatore per antonomasia del rapporto tra l’uomo e la divinità.

Lo scrittore greco Luciano di Samosatra dice dei cristiani che “abbandonano gli dei greci ed adorano quel medesimo sofista che era stato crocefisso”. Eppure nel Vangelo di Giovanni si legge che Gesù ha detto alla samaritana:

Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”.

Due cose importanti ha capito invece anche Luciano del nuovo messaggio: “Si sono persuasi infatti quei poveretti di essere affatto immortali e di vivere per l'eternità, per cui disprezzano la morte e i più si consegnano di buon grado. Inoltre il primo legislatore li ha convinti di essere tutti fratelli gli uni degli altri”.(De morte Per. XI-XIII).

E l’imperatore Marco Aurelio morto nel 180 mentre parla dell’anima che si tiene pronta “quando ormai deve sciogliersi dal corpo, o estinguersi, o dissolversi o sopravvivere! dice che la disposizione deve derivare dal personale giudizio e non da mera opposizione come per i Cristiani (A se stesso, ad sem. XI,3)

Per ricostruire l’essenza del messaggio che viene riportato anche in queste prime testimonianze pagane, è necessario assumere come chiave interpretativa, un rovesciamento di quella che è stata l’interpretazione di Paolo, provare cioè a riferire all’uomo in generale, ciò che Paolo riferisce all’uomo-Gesù. In altri termini quando Paolo per bocca degli evangelisti parla di Gesù come figlio dell’uomo e figlio di Dio pensare che la rivelazione di Gesù è stata invece che ogni uomo è allo stesso tempo figlio dell’uomo, e figlio di Dio, partecipe allo stesso tempo della natura umana finita e della natura dell’Infinito, nominato come Dio.